sabato 3 dicembre 2011

La Bellezza secondo Shingo Araki (荒木伸吾)

E la nascita dello stile "Bikei"

Il “Character Designer” per eccellenza dell’animazione giapponese, ha trasformato numerosissime pietre miliari del mondo a fumetti in preziosissimi diamanti. Incredibile è la mole di lavoro svolta dall’artista durante la sua lunga carriera, ed incredibile è il fatto che il suo tocco magico abbia reso indimenticabili (e internazionali) delle opere cartacee la cui levatura forse non sarebbe bastata, da sola, a renderle dei veri e propri cult di fama mondiale, in quanto “l’anime” giapponese è notoriamente un prodotto ben più “precoce” all’estero di quanto non sia il suo genitore, ovvero il “manga”.

La recente scomparsa di questo grande artista lascia un vuoto in tutti gli appassionati dell’animazione, che dopo aver assaporato il suo tratto poetico difficilmente riescono ad accettare le rappresentazioni banali e stereotipate tipiche dell’animazione di oggi. I personaggi di Araki sono tutti nobili, bellissimi, dai contorni a volte sfuggenti, soavi, delicati, a volte marcati, sgrossati come pennellate di ideogrammi tradizionali. Questa duplice caratterizzazione è in parte attribuibile alla strettissima collaborazione che il maestro instaura con Michi Himeno, disegnatrice di grandissimo livello che si occupa soventemente della caratterizzazione di personaggi femminili.

Araki ha reso vivide le già vive immagini, drammatiche ed enfatiche le storie dei più grandi maestri del “manga”, ossia del “fumetto” giapponese. È tradizione che il manga presenti una dinamicità ben più marcata di quella dei fumetti occidentali. L’animazione di Araki riprende pienamente questa idea di movimento “statico”, coniugandolo ad una dinamicità complessa, a volte irreale, suggestiva e peculiare, tale da rendere inconfondibile il suo stile. Ed ecco che nell’azione, dominante in tutte le opere trasposte dal suo studio si animazione (dai duelli di “Versailles no Bara”, agli incontri all’ultimo sangue di “Ashita no Joe”), la presenza delle tradizionali linee cinetiche si coniuga al movimento dei personaggi, accelerandone i tesi e repentini movimenti, così da rendere di un’estrema bellezza le scene più violente e concitate.

Il personaggio di Araki e Himeno è unico: fonde contemporaneamente le caratteristiche fisionomiche di tanti famosi mangaka, elaborandole però in uno stile tutto personale. Il volto dei personaggi è nelle prime trasposizioni più tondeggiante, “classico” e diventa nel tempo via via più simile a un triangolo, ma senza mai perdere una certa convessità e armonia dei lineamenti. Gli occhi grandi ed espressivi tipici degli “anime”, sono dai maestri caratterizzati con estrema cura, allungati, pastosi, accattivanti, e rappresentano il primo riflesso dei moti dell’animo: non di rado sgorgano da essi copiose lacrime, o rimangono semichiusi lasciando che le luminose iridi siano accarezzate da vellutate ciglia. L’influenza di maestri come Ryoko Ikeda, Tetsuya Chiba,  Masami Kurumada e Go Nagai, nonché Leiji Matsumoto, influenza certamente i canoni stilistici dei volti di Araki e Himeno, tuttavia l’eleganza complessiva che questi ultimi conferiscono ai loro personaggi è di gran lunga superiore.

La motivazione di questa supremazia è da ricercare non solo nel romanticismo che permea i lineamenti facciali, ma anche nella flessuosità dei corpi, nella plasticità dei movimenti, nelle proporzioni volutamente esasperate con cui si presentano i personaggi. Si assiste alla progressiva perdita della classicità delle proporzioni, con figure che diventano estremamente esili, senza perdere però vigore nella muscolatura, mai pesante ma sempre evidente. Gli arti inferiori e superiori estremamente lunghi si sviluppano dall’ampio torace lungo la stretta vita, per poi sfumare lungo gambe salde, scolpite e tese come elastici. Gli eroi sono atletici, slanciati, solenni, a volte imponenti ma mai massicci.

La tridimensionalità delle prospettive si coniuga con una voluta piattezza della fisionomia, e crea un effetto di magnificenza statuaria delle figure, che si stagliano su fondali spesso dominati da elementi naturali, quasi in simbiosi con i personaggi stessi. Nel movimento e nel combattimento l’azione si focalizza nei punti di massima tensione, come la punta o l’elsa di una spada, l’asse di un affondo, il punto di impatto di un pugno; l’azione si costruisce su piani prospettici che sembrano risucchiare e incanalare i movimenti dei personaggi; è in particolare in Saint Seiya di Masami Kurumada che la rappresentazione estetica dell’azione proposta da Araki raggiunge i massimi livelli.

Lo stile di Kurumada viene sviluppato da Araki in maniera radicale, è questa l’opera in cui il maestro raggiunge la maturità artistica, per complessità ed esasperazione delle pose, dei movimenti, per la flessuosità dei corpi degli eroi, i quali tradiscono, nella bellezza e sfarzosità del movimento, la nobiltà dei valori che animano le loro azioni. Lo stile di Kurumada sembra infatti pietra grezza da raffinare, il corpo dei giovani personaggi è piuttosto tozzo e il tratto troppo grossolano, quasi sporco, così come le armature dei personaggi, che non si integrano bene con il fisico dei giovani cavalieri, risultando a volte pesanti. Araki conferisce adesione alle vesti e alle armature, che diventano simili a tute, ma splendono di sfumature metalliche di pregevole fattura, e non inficiano le proporzioni corporee, né la definizione della fibra muscolare compatta e slanciata.

I personaggi, dotati di forza e velocità eccezionali, sviluppano la loro storia proprio nell'azione: i corpi si tendono come archi, prima di sferrare un colpo, irradiando effetti cinetici colorati e dal forte impatto visivo; il danno di un colpo subito, così come l’impeto di un colpo conferito, è estremo, il corpo si piega e si inarca con una plasticità innaturale, che non tralascia mai l'estrema tensione muscolare abbinata alla leggiadria del movimento, rendendo l’azione estremamente affascinante.

In particolare la corsa dei “saint” cioè “i cavalieri”, è resa da Araki attraverso una rappresentazione stilistica inconfondibile. I corpi sono proiettati in avanti, le braccia sono larghe, i capelli dei cavalieri ondeggiano e il movimento del corpo è oscillatorio, sembra di assistere al volo di una farfalla che si avvicina verso l’obiettivo. Il volto diventa il punto focale di una prospettiva da capogiro, tale da distorcere anche i lineamenti: gli occhi si allungano ulteriormente e si inclinano in maniera obliqua, sembrando quasi sfuggire verso l’esterno del volto, per vincere la forza dell’aria. Il movimento turbolento delle gambe affusolate, in prospettiva lontane dal punto di maggior vicinanza dell’osservatore, ricorda un aracnide, che si muove con estremo equilibrio lungo il ciglio di un burrone, o sul filo di una catena.

I movimenti armoniosi e plastici di Seiya o di Hyoga durante una “danza evocativa” del proprio colpo segreto, si traducono in un’estetica potente e regale. In questo dinamismo complesso, dove la forza dei primi piani è il mezzo comunicativo più potente, il tratto dei contorni del corpo e del viso ha uno spessore variabile a seconda delle circostanze, dell’impeto di un pugno o dall’attrito di un salto contro un muro d’aria, e questa variazione di spessore, tutt’altro che casuale, è il primo requisito tecnico di un grande artista di manga o anime.

Le atmosfere epiche si coniugano incredibilmente con un look decisamente peculiare e bizzarro dei personaggi, senza tuttavia mai creare disarmonia, e senza cadere nell’incoerenza: ecco che tra le rovine dell’antica Grecia saltano e sfrecciano, quasi sospinti da correnti ascensionali, i personaggi atletici e snelli, dalle pittoresche chiome, vestiti di sgargianti armature.

Da molto tempo ritenevo che nell’ambito di Saint Seiya il film “Shinku no Shōnen Densetsu”, del 1988, fosse il pinnacolo della maturità artistica dell’autore. È stata una piccola soddisfazione scoprire sul web che altri appassionati abbiano lo stesso parere a riguardo. In questo film lo stile di Araki e Himeno è impeccabile, i volti sono splendidi e malinconici, sofferenti e riflessivi, esprimono rassegnazione, tenacità, irruenza o sensibilità. I canoni di Araki dell’azione si sposano con una colorazione brillante e densa. Il vento agita in un movimento vorticoso, ipnotico e incessante, le capigliature ricercate, folte e  ondeggianti dei personaggi; i ciuffi colorati, appuntiti ma sempre soffici e convessi, sono soggetti a un movimento rotatorio estremamente coinvolgente, così come le vesti, i baveri, i mantelli, i fili d’erba. Un movimento melodico e incessante, così come lo scorrere delle acque di una cascata, o le sferzate del vento siberiano, in cui figure esili ma salde sprigionano la loro forza e bellezza, nell’armonia del loro design. La plasticità delle pose è unica, i combattimenti impetuosi e avvincenti, le prospettive accidentali sono vertiginose. Le armature, devastate da colpi di inaudita potenza, si sbriciolano in un’infinità di scaglie sottili e polverose che sfumano verso l’alto, così come le antiche colonne o la terra stessa, mentre i martoriati ed esausti corpi dei giovani cavalieri rimangono sospesi a mezz’aria, prima di essere schiacciati verso il basso (da una spinta che sembra esterna, ben diversa dal peso proprio del corpo), e tale da rendere con grande impatto visivo anche il lato vulnerabile dell’uomo: il dolore che continuamente ne contrassegna il cammino, la bellezza che viene continuamente calpestata e costringe l’uomo a strisciare nel dolore. Ma allo stesso si esalta la forza dell’uomo, poiché la materia umana è l’unica a non sgretolarsi fronte di tali avversità.
I fondali sono particolarmente “romantici” e magnificenti. Sia le scene statiche che dinamiche sono coniugate all’eleganza della colonna sonora di Seiji Yokoyama, compositore eccelso, già famoso per le “soundtrack” realizzate per la serie tv.

Araki è un artista commovente, che coglie il valore della giovinezza come mito della cultura nipponica e lo traspone in animazione e arte visiva.

Tempo fa, affascinato dalla bellezza dei disegni di Araki e Himeno, decisi di “comporre” un video con le scene più belle disegnate dai maestri tratte dagli episodi della prima serie di Saint Seiya, e che ben rappresentano il loro modo di concepire l’animazione come arte, e le figure umane come magnifiche creature. Nel video sono riportate alcune battute famose dei doppiatori italiani, che con il loro scrupoloso e peculiare lavoro hanno contribuito ad esaltare i connotati di un’opera di estrema levatura. 

イラり・くん
Irari-kun 


venerdì 2 settembre 2011

Qualificazioni World Cup 2014 - 3rd Round, 1st Game: La goccia che scava la pietra e la fine di un incubo lungo novanta minuti

Il Giappone di Zaccheroni inizia le qualificazioni mondiali in vista della fase finale in Brasile nel 2014. Nel primo girone di qualificazione (3rd Round) la gara di apertura è contro la Corea del Nord, sedicesima nel ranking asiatico. L'entusiasmo per i Samurai Blue si riversa questa volta nello stadio di Saitama, dove migliaia di spettatori incitano con grande sportività ed educazione i loro beniamini, nonostante sia imminente l'arrivo del Tifone Talas. Anche gli ospiti coreani, vestiti rigorosamente di rosso, sfoderano un tifo goliardico a dir poco invidiabile, tra le loro fila si assiepa addirittura un'orchestra (con tanto di spartiti).

La partita è a senso unico. L'abilità dell'attaccante Jong Tae-Se non basta a trascinare una Corea priva di idee, le conclusioni in porta degli ospiti sono praticamente nulle, se si esclude un'azione pericolosa sviluppatasi nei primi minuti di gioco a seguito di un errore difensivo del terzino sinistro Komano. I Blue Samurai si schierano con un 4-2-3-1 molto aggressivo con Kagawa e Okazaki esterni a sostegno della punta Tadanari Lee. Sulla tre quarti è finalmente il turno di Kashiwagi, chiamato in causa dopo le assenze di Honda e Nakamura Kengo. Sulla mediana il solito duo formato da Endo e Hasebe (probabilmente il migliore in campo), a sostegno della difesa a quattro formata da Komano, Yoshida, Konno e Uchida; in porta, Kawashima.

Il Giappone tiene in mano il pallino del gioco per tutti i 90 minuti, tessendo la solita trama di gioco corale, con una linea difensiva molto alta (a centrocampo), sostegno di entrambi i terzini, e tanto pressing. Le occasioni non mancano ma il risultato non si sblocca. Ci prova prima Kashiwagi, che sforna assist e colpisce la traversa (anche se a gioco fermo), Kagawa, con un tiro da fuori di poco a lato. Quest'ultimo sfodera finte e dribbling in gran quantità, nonostante un terreno reso scivoloso da un violento acquazzone che si abbatte sul campo nella prima frazione di gioco. La Corea si difende con tutti i giocatori dietro la linea di metà campo. Questo rende difficoltoso il palleggio del Giappone e limita il tempo di esecuzione della manovra degli attaccanti, che inevitabilmente incappano in qualche errore di troppo e non sempre riescono a finalizzare l'azione.

Nel secondo tempo il copione non cambia: ci prova il generoso capitano Hasebe, con il suo "Nagai Shuto" (tiro lungo), parato dal portiere. Anche l'attaccante Okazaki, dopo aver mancato un colpo di testa in tuffo, si riscatta con un altro "heading" nello specchio della porta, ma il portiere coreano Ri Myong-Guk esegue una grande parata. I Samurai continuano l'attacco, questa volta con il giovane Kiyotake (autore di due assist nella precedente amichevole con la Corea del Sud), il cui tiro dalla lunga distanza viene però deviato dalla difesa.

La partita inizia ad assomigliare sempre di più a un incubo, perché la porta coreana è stregata, e a nulla valgono i reiterati attacchi del Giappone. Zaccheroni manda quindi in campo il gigante Mike Havenaar, convocato al posto dell'infortunato Honda, richiamando in panchina Tadanari Lee, autore come sempre di  varie giocate "post play". Ed è proprio Havenaar a colpire la traversa dopo un counter attack in velocità innescato da Hasebe. La Corea rimane in dieci a seguito di un duro intervento falloso di Pak Kwang - Ryon su Endo, nella lotta per conquistare il pallone.

Il quarto uomo assegna 5 minuti di loss time che il Giappone decide di sfruttare ingranando una marcia in più: inizia l'assedio finale che vede reiterati cross e calci d'angolo, per sfruttare l'altezza di Havenaar (194cm). Ma è proprio il piccolo Kagawa a colpire di testa mirando all'angolino, tuttavia - ancora una volta - il portiere coreano si supera con un intervento strepitoso, dopo essere stato "graziato" dal terzo legno colpito pochi istanti prima da un tiro al volo di Konno.

Al 48esimo del secondo tempo gli sforzi del Giappone vengono però ripagati: dopo l'ennesima incursione sull'esterno di Hasebe e il cross di Kiyotake, il difensore centrale Yoshida Maya svetta e insacca di testa la palla del 1-0, che di fatto distrugge le speranze della Corea del Nord di portare a casa il pareggio. Per Kiyotake è il terzo assist in due partite della Nazionale, e i Samurai Blue conquistano il primo successo nel lungo cammino verso il 2014.

il 6 settembre la Nazionale Giapponese volerà a Tashkent per il secondo incontro di qualificazione, contro l'Uzbekistan.

Ganbarou Nippon!

domenica 1 maggio 2011

La forza di Nagatomo

Voglio diventare il miglior terzino del mondo "sekai ichi no saido bakku ni naru".


L'Italia calcistica sta lentamente conoscendo le abilità di un grande giocatore: Yuto Nagatomo.

Il ventiquattrenne originario della località meridionale di Saijo, ultimo fra i Giapponesi approdati in Serie A, è il primo a giocare in un club Campione del Mondo, l'Internazionale F.C.
Lo scetticismo, tipicamente italico, legato alle dubbie capacità dei giocatori nipponici, sembrava ormai essere un ricordo, dopo la positiva esperienza di Hidetoshi Nakata, fantasista di fama internazionale e precocemente ritiratosi. Tuttavia il luogo comune ha ripreso il sopravvento quando Nagatomo si è presentato in Italia: grandi interrogativi e dissensi erano già sulla bocca di giornalisti e addetti ai lavori, pronti a sfociare in maniera ridondante, su rubriche, articoli e servizi televisivi.

La motivazione era più che mai fisiologica: l'Italia è infatti il paese dotato di un sistema difensivo di ferro, una predilezione tattica che ha nel "catenaccio" la sua forma più rappresentativa. Poteva dunque un ragazzo dal fisico minuto, che non arrivava al metro e settanta, ricoprire un ruolo difensivo, nel nostro paese, dove il gioco duro, ed estremamente tattico, rappresentano spesso la chiave della vittoria? Questa è la ben condivisibile interpretazione di Mario Sakamoto (corrispondente del quotidiano sportivo giapponese Sankei Sports news), giornalista molto vicino alle vicende di Nagatomo. Aggiungo poi, come aggravante, un secondo interrogativo, frutto del pensiero dell'opinionista (e del tifoso) medio: poteva un Giapponese, dunque un giocatore per antonomasia privo di tecnica, prendersi questa responsabilità? I dubbi sorti quando Nagatomo ha vestito la maglia numero 5 del Cesena, sono diventati veri e propri spauracchi quando il Nostro ha indossato la maglia numero 55 dell'Inter.

Personalmente, seguendo continuamente le partite dei Blue Samurai - la nazionale di calcio giapponese, avevo già notato il grande talento di Yuto. Un giocatore caparbio, capace di lottare con determinazione su ogni pallone, e dotato di buona tecnica (anche se non egregia come quella dei tanti fantasisti nipponici che svariano in fase offensiva), grandissima velocità e resistenza. Si tratta di doti che si addicono pienamente al ruolo di terzino, e hanno permesso a Yuto di condurre da protagonista, assieme ai suoi compagni, un dignitosissimo Campionato del Mondo in Sud Africa (dove la difesa giapponese ha incassato, su un totale di quattro partite,  solo due goal su azione: uno firmato dall’olandese Sneijder, e il secondo contro la Danimarca).

L’operazione di acquisto di Nagatomo ad opera del Cesena, nell’estate 2010, è stata la naturale conseguenza di questo percorso: il Giapponese ha giocato con grande continuità in Romagna, come terzino sinistro, risultando sempre o quasi tra i migliori in campo, e dimostrando di essere all’altezza della tanto severa Serie A.

In seguito ad un’altra missione, portata a termine con successo con la maglia dei Blue Samurai, ovvero la conquista della Coppa d’Asia 2011, dove il Nostro ha firmato l’assist della vittoria finale contro l’Australia, le capacità del piccolo samurai hanno suscitato l’interesse dell’Inter, che in chiusura di mercato si è assicurata le prestazioni del giocatore tramite la formula del prestito dal Cesena, in vista del girone di ritorno della Serie A, stagione 2010/2011. Questo è il recente passato di Yuto; il presente parla delle sue buonissime partite in maglia nerazzurra, sia in Campionato che in Coppa.

Si sente troppo spesso parlare di un trasferimento all’Inter dovuto all’influenza dell’allenatore Leonardo, che giocò nella J-League, e di strategiche mosse commerciali, al fine di promuovere l’immagine dell’Inter nel paese del Sol Levante.

Sono tematiche che non meritano, per quanto mi riguarda, ampio spazio; voglio invece descrivere, nelle righe rimanenti, la personalità del giocatore, un ragazzo semplice, uno studente come tanti, che ha amato il calcio e lo ha condiviso nell’ambiente scolastico e universitario, secondo l'abitudine tipicamente giapponese.

Nagatomo possiede innanzitutto un grande pregio, ossia il suo carattere: estremamente socievole, scherzoso, umile e determinato, ha suscitato, nonostante le ovvie difficoltà linguistiche, la simpatia dei grandi campioni con cui si è trovato a dividere i momenti di convivenza dentro e fuori dal campo. Un ragazzo che ha affrontato momenti difficili, sportivi e di salute, e problemi tipici dell’adolescenza, tanto comuni nella vita di tutti, ma che non sempre si riescono a superare con successo, soprattutto se non sostenuti da una situazione familiare idilliaca (come nel caso di Yuto).

Nagatomo è stato però sorretto da alcune certezze:

• un sistema scolastico all’altezza, formativo, dove l’amore per lo sport non si riduce, come in Italia, a due misere ore di educazione fisica settimanali, ma viene valorizzato, come interesse culturale;

l’intelligenza, quella propria (fu ammesso alla prestigiosa università Meiji per meriti scolastici, e non sportivi), e quella delle persone che lo hanno circondato, come il precedente tecnico della Nazionale giapponese Okada, e successivamente quella del nostro Zaccheroni, (attuale CT del Giappone), senza dimenticare l'abilità del vecchio allenatore Kamikawa, che ha spostato Nagatomo dal centrocampo alla fascia laterale, valorizzando così il potenziale del giocatore.

• la cultura sportiva con cui si concepisce il calcio in Giappone, che è ben diversa da quella italiana, (basti osservare l’atteggiamento dei tifosi in una qualsiasi partita della J-league, o l’amore e il rispetto per la Nazionale), e che si può apprezzare in maniera esplicita anche attraverso i mezzi comunicativi.

Nagatomo è dunque una persona che va stimata, per la sua educazione, che non risiede solo nei piedi, ma anche nei modi, per la semplicità e il lavoro con cui sta conquistando una maglia da titolare, mettendo in ogni partita, in ogni giocata, grande coraggio e cuore, ispirandosi al suo capitano, il senpai Zanetti. Nonostante le giocate dell’Inter non abbiano a mio parere sfruttato fino in fondo le capacità di Yuto, egli ha saputo conquistare progressivamente fiducia nei propri mezzi, stima dei compagni, dei giornalisti, della società e del presidente Moratti, ma soprattutto affetto da parte dei tanti tifosi (così come aveva fatto a Tokyo, dove accorsero in venticinquemila al suo addio, in vista della partenza per l’Italia).

Nagatomo è un ragazzo che si prodiga per migliorarsi continuamente (la filosofia del Kaizen), dal punto di vista atletico e morale, attraverso allenamenti supplementari ed estenuanti; un lavoratore che sta trasformando un sogno in realtà grazie all’entusiasmo, e al contempo con il sangue freddo di chi sa che le difficoltà sono sempre in agguato, prima fra tutte l’emozione di giocare con campioni che fino a poco tempo prima poteva ammirare solo in televisione; un idolo per i connazionali, recentemente martoriati dalle ben note catastrofi, ai quali vuole dare un sostegno concreto grazie al calcio, evidenziando grande generosità e senso di appartenenza.

Nagatomo rappresenta un esempio per il calcio, e lo specchio di un popolo che merita grande rispetto. La parola "senshu", che in Giapponese vuol dire "giocatore", e che molto spesso segue il nome proprio degli atleti, può ragionevolmente essere confusa, nel caso di Nagatomo, con "senshi", ossia "guerriero". Un guerriero che nutre grande rispetto per l'avversario, come ogni samurai, e pratica un gioco privo di scorrettezze (altro che gomitate alla de Rossi), senza mai dimenticare che la lotta sul campo è prima di tutto uno sport e un divertimento. Queste qualità hanno suscitato grande simpatia non solo tra i cultori del Giappone, come il sottoscritto, ma tra moltissimi Italiani: a Cesena, nella partita contro gli ex compagni di squadra, Nagatomo ha ricevuto un premio speciale, il Cavalluccio d'Argento, simbolo di Cesena, e frutto dell'ottimo rapporto che il Nipponico ha instaurato con la popolazione locale.

Personalmente, immagino l’esito di questa favola, che sarà sì lunga, ricca di soddisfazioni, e che meriterà, in quanto tale, un degno lieto fine: la fascia da capitano dell’Inter al braccio di Nagatomo-kun.

Fonti:


http://www.tuttocesena.it/?action=read&idnotizia=1495
http://www.asahi.com/english/TKY201007180325.html
http://grandebanzai.blogspot.com/2011/02/nagatomo-da-giovane.html
http://www.interistaweb.it/notizie/rassegna-stampa/17228/cesena---inter--nagatomo-e--diventato-anche-bello.html
www.fifa.com